Roy e il sistema del cottimo
Tra i molti autori che hanno studiato la fabbrica sicuramente si distingue Donald Roy, vediamo assieme chi è e quali contributi ha apportato la sua analisi.
Donald Roy è stato un sociologo americano della Duke University (1950-70) interessato particolarmente alle condizioni di lavoro, ai conflitti interni e alle interazioni tra lavoratori e tra operai e management all’interno delle imprese.
Egli fece un’attenta analisi all’interno di un’azienda raccogliendo un grande materiale etnografico, partecipando come operaio per un anno con il metodo dell’osservazione partecipante.
In quegli anni gli operai lavoravano su macchinari che richiedevano sforzo e destrezza, dunque per ottenere il massimo della produzione il management aveva adottato un cottimo individuale in base al quale gli operai, se superavano una soglia, guadagnavano un extra.
Il cottimo era considerato un sistema equo e razionale che premiava i più bravi e stimolava gli altri. I dipendenti dunque secondo la direzione erano spinti a lavorare soltanto da motivi economici.
Dalla sua analisi Roy trasse 4 conclusioni rilevanti:
- Il cottimo era fonte di continuo conflitto e di sfiducia tra operaio e management, difatti i cronometristi erano odiati dagli operai, i quali cercavano anche di ingannarli;
- La risposta operaia al cottimo era lontana da quella che si proponeva la direzione, che aveva un’idea del tutto diversa da ciò che accadeva nella realtà;
- Le deviazioni nell’uso del cottimo nascevano anche da una rete di complicità che coinvolgeva alcune figure professionali. Per esempio la strategie di anticipare o ritardare un rifornimento era uno tra i tanti trucchi attuati dalle varie figure per dare all’azienda un ritmo più umano.
- Il movente che spingeva gli operai non era soltanto economico.
Quest’ultimo punto è fondamentale in quanto il sociologo sviluppò una lunga e sottile analisi sui cosiddetti “giochi di produzione” e sulle conseguenze che ne derivano. Si tratta di un sistema che secondo un altro sociologo, Burawoy, favorisce l’illusione che il lavoro sia un gioco: i lavoratori diventano giocatori che partecipano a una gara di making out. Questi giochi sono un intreccio di regole, di incentivi e di cooperazioni che inducono gli operai a fare making out, ovvero raggiungere le quote di produzione prestabilite.